Possibile meccanismo di resistenza chemioterapica in pazienti affetti da carcinoma pancreatico

Al 2024, l’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC) si attesta come la neoplasia maligna umana meno conosciuta e più letale: il tasso di sopravvivenza relativa sia a un anno dalla diagnosi che a 5 anni risulta il più basso tra i tumori solidi, e si prevede che entro il 2040 diventerà la seconda causa di morte correlata al cancro nei paesi occidentali. Ciò è dovuto sicuramente al comportamento metastatico precoce, al suo decorso aggressivo e all’efficacia limitata dei trattamenti chemioterapici attualmente approvati. L’identificazione di nuovi approcci per colpire le vie di segnalazione paracrine all’interno del microambiente tumorale che provocano la resistenza al trattamento nel PDAC rimane della massima rilevanza. Ed è partendo da questo concetto che il gruppo di ricerca diretto dal prof. Melisi ha identificato un nuovo bersaglio terapeutico, l’autotaxina, quale possibile fattore responsabile della resistenza delle cellule tumorali ai trattamenti chemioterapici. Negli ultimi anni sono stati realizzati alcuni studi volti a dimostrare che l’inibizione della via di trasduzione del segnale mutata più frequentemente nel PDAC, ovvero il TGFβ (Transforming Growth Factor beta), è una potenziale strategia terapeutica.

Nello studio pubblicato su Cancer Research è stato ipotizzato per la prima volta il ruolo dell’autotaxina, un enzima secreto sia dalle cellule tumorali che dalle cellule stromali, come segnale che potrebbe compromettere l’attività di inibizione del TGFβ e contribuire alla resistenza alle attuali terapie nel PDAC. L’affidabilità del modello preclinico è stata confermata sia in animali di laboratorio con cancro del pancreas, sia in pazienti trattati nell’ambito di sperimentazioni cliniche: nello studio randomizzato di fase II H9H-MC-JBAJ, si registra un aumento significativo dei livelli di autotaxina solo nei pazienti assegnati in modo casuale al braccio sperimentale di galunisertib più gemcitabina e non in quelli che ricevevano placebo più gemcitabina come controllo. Inoltre, tra i pazienti trattati con galunisertib più gemcitabina, i pazienti con un aumento dei livelli plasmatici di autotaxina hanno avuto una durata di sopravvivenza libera da progressione (PFS) significativamente più breve rispetto a quelli che non presentavano differenze nei livelli plasmatici di autotaxina. Ciò avvalora la tesi per cui l’autotaxina è effettivamente innescata dall’inibizione del TGFβ, e questa induzione predice la risposta all’approccio combinato di gemcitabina più galunisertib, elevando l’autotaxina a potenziale meccanismo stromale di resistenza adattativa alla strategia di combinazione della chemioterapia con l’inibizione del TGFβ nei pazienti con PDAC avanzato.

Il gruppo di ricerca conclude sottolineando che questo studio fornisce il razionale preclinico per studiare l’inibitore dell’autotaxina IOA-289 più gli inibitori della via del TGFβ in combinazione con la chemioterapia classica in pazienti affetti da questa malattia aggressiva.


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