Durante la Conferenza Stampa del XXVI Congresso Nazionale AIOM sono stati presentati i risultati di un sondaggio condotto da Fondazione AIOM su oltre 500 pazienti portatori dei geni BRCA1 e BRCA2 e rispettivi caregiver. Dalla survey è emerso che solo il 33% dei malati ha ottenuto una diagnosi precoce di cancro e 8 su 10 hanno incontrato difficoltà nell’eseguire il test genetico. Di questi ultimi, ben il 64% lamenta tempi d’attesa troppo lunghi e soffrono di disagio psicologico. Da qui la duplice esigenza di garantire a tutti, anche in Italia, l’accesso ai test genetici e un adeguato sostegno non solo medico ma anche psicologico.
A fronte di queste tematiche, nei mesi scorsi la Fondazione AIOM e la Società Scientifica AIOM hanno lanciato il progetto I Tumori Eredo-Familiari, che si pone l’obiettivo di informare e sensibilizzare tutta la popolazione su queste forme di cancro e sulla necessità di ampliare i controlli medici per monitorarle.
Secondo gli ultimi dati, in Italia sono complessivamente almeno 31.000 i pazienti che hanno un tumore eredo-familiare. Non esistono solo i geni BRCA, ma anche molti altri che incrementano le possibilità d’insorgenza di neoplasie più o meno frequenti. Di questo ne ha parlato anche Saverio Cinieri (Presidente Fondazione AIOM), sottolineando:
“È importante fare cultura e sensibilizzazione su questo argomento, soprattutto perché la maggior parte dei pazienti e dei caregiver non sono a conoscenza della possibile esistenza dei tumori eredo-familiari, ma anche perché, se è vero che attraverso alcuni noti personaggi dello show business si è compreso che esiste una mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2, sempre più pazienti richiedono di effettuare i test, seguendo le indicazioni della nostra società scientifica. Di alcune mutazioni conosciamo il significato clinico, ma riguardo molte altre ad oggi ne conosciamo l’esistenza ma non il reale significato.”
“Quello che bisogna stabilire ancora un volta – continua Cinieri – tra noi medici, Società Scientifica e la Fondazione AIOM (che si occupa dei rapporti con le Associazioni pazienti e i loro caregiver) è una vera e propria alleanza, non più terapeutica ma un’alleanza diagnostica, in quanto conoscere il test e apprendere tempestivamente l’eventuale mutazione di alcuni geni ci permette di impiegare farmaci mirati. Fondamentale sarà la possibilità di eseguire i test in tutte le province del nostro Paese”.
Quali sono i tempi ottimali per questi test e perché è fondamentale creare cultura anche tra gli oncologi su questi temi? A questa domanda risponde il Prof. Massimo Di Maio (Presidente Eletto AIOM):
“Fino alla fine degli anni ’90 per effettuare questi test si inviava il campione fuori regione e si aspettavano addirittura mesi per avere il risultato. Questo era già un problema ben noto agli oncologi, perché implicava il generarsi di ansia di attesa del risultato. Un’ansia che coinvolge non soltanto la singola persona che si è ammalata, ma potenzialmente anche le persone della sua famiglia.
Nel corso degli anni, per fortuna, questo aspetto è migliorato: di fatto non si aspettano più mesi per avere il risultato. Si è però verificato un altro fenomeno: i laboratori che prendono in carico queste analisi così importanti hanno ravvisato un aggravio del carico di lavoro nel corso del tempo, a cui non sempre è corrisposto anche un aumento delle risorse in termini di personale tecnico e fattibilità tempestiva delle analisi. Questo significa che il sistema diagnostico può andare in affanno e non garantire i risultati in tempi brevi.
Oggi i test non hanno più solo una valenza di eventuale caratterizzazione eredo-familiare, ma hanno anche un risvolto per le scelte terapeutiche, le quali sono aumentate a causa dell’incremento del numero di patologie conosciute. È fondamentale capire che non è solo una questione di ansia da dominare per chi aspetta quel risultato, ma anche una questione di efficienza del sistema sanitario e dell’offerta diagnostica-terapeutica che stiamo andando a fare.”
“I tempi ottimali – continua Di Maio – rientrano nell’ordine delle settimane, in modo tale da avere un giusto spazio per prendere decisioni tempestive.
AIOM da anni ha a cuore l’appropriatezza di determinate decisioni (vengono prodotte infatti delle raccomandazioni e delle linee guida su quando chiedere i test e in che modalità), ma soprattutto vuole porre l’accento sull’equità di accesso. Mentre molti oncologi pensano all’equità di accesso in termini di farmaco, perché è quella che più ci interessa nel quotidiano (cioè non dover attendere a lungo affinché un determinato farmaco sia disponibile), è altrettanto importante ricordare l’equità di accesso alle diagnosi e ai test, che rappresenta una prima barriera importante da eliminare per caratterizzare al meglio la persona che abbiamo di fronte”.
Infine, Nicola Silvestris (Segretario Nazionale AIOM), ha ricordato l’importanza di un approccio multidisciplinare, soprattutto del supporto psiconcologico:
“Un test genetico positivo si correla a una parola: incertezza. Chi riceve questo risultato non è certo di ciò che deve attraversare. Quando comunichiamo una diagnosi oncologica c’è la certezza di alcuni aspetti fondamentali che riguarderanno la vita di quella persona e del suo contesto familiare. In questi casi, la positività del test genetico non implica assolutamente e matematicamente la diagnosi oncologica in quella persona, ma implica un aumento della probabilità. Questo, da un lato rappresenta una grande opportunità per il paziente e per i suoi familiari, perché significa poter attuare dei programmi di prevenzione e dei percorsi di diagnosi precoce che possono rappresentare una grande opportunità; d’altro canto, però, si associa la parola “incertezza”, perché non sei più compatibile con quelle che sono state le certezze della tua vita finora e di ciò che ti può accadere. Da lì la necessità di un supporto psiconcologico, che si inquadra in un contesto in cui il termine che ormai ricorre sempre più, accanto alla multidisciplinarietà, è quello della presa in carico.
La presa in carico significa non solo occuparsi del percorso di screening di queste persone, ma anche di ciò che implica da un punto di vista psicologico. Infatti, nei team multidisciplinari la figura dello psiconcologo diviene fondamentale nel momento in cui dobbiamo dare questa comunicazione al paziente, il quale deve poter usufruire di un supporto durante e dopo la fase delle cure.”
“In Italia vivono oltre 150mila persone con mutazioni del gene BRCA e sono passati oltre 20 anni da quando sono state scoperte e poi studiate. Non interessano solo le donne e quindi i tumori femminili, ma anche gli uomini possono ereditarle e trasmetterle a loro volta ai figli. Per esempio, sono presenti in oltre il 10% dei casi più gravi e metastatici del carcinoma prostatico. La maggior parte di queste persone non sa di essere portatore dell’alterazione molecolare e del conseguente incremento di rischio oncologico. Con la campagna intendiamo promuovere tra tutta la popolazione una maggiore coscienza su un aspetto non secondario della prevenzione del cancro”.